Lettera postuma, nell’affettuoso ricordo di Don Salvatore Mellone, testimone credibile della misericordia di Dio.

“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra”.

E Don Tonino Bello commenta così questo passo del Vangelo: “dicono che sia la frase più oscura di tutta la Bibbia ma a me sembra la più luminosa”.

E poi spiega il perché del suo pensiero: “da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio” c’è stata la sosta della Croce, cioè della sofferenza umana assunta da Nostro Signore, sulla collina del Golgota.

Dopo le tre del pomeriggio, continua Don Tonino con il suo splendido linguaggio, c’è “divieto assoluto di parcheggio” per tutte le croci: per la sua, per la mia, per la Croce di Cristo, per quella luminosissima di Don Salvatore.

“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio”; quando mi giunse la dolorosa notizia (ero, purtroppo, ricoverato in Ospedale)  pensai subito ad una “strana coincidenza”: Don Salvatore ci ha lasciati alle tre del pomeriggio; ma anche Don Tonino Bello (dice un suo biografo, “alle tre del suo pomeriggio”); e soprattuto Nostro Signore Gesù Cristo, quando esclamò “tutto è compiuto”.

E si sono subito accavallati alla mia memoria i tanti momenti nei quali ho avuto la grazia di poter godere della gentilezza, del garbo, della semplicità, della sincerità, dell’affetto e dell’amicizia del nostro Don Salvatore.

All’inizio un rapporto discreto, testimonianza di un animo sensibile e rispettoso dell’altro; poi il disvelarsi di sentimenti comuni, di interessi anche culturali ma soprattutto di fede, di una grande fede, che pian piano ci hanno consentito di aprirci reciprocamente in un rapporto d’amore vero e che, a motivo della differenza di età, inevitabilmente ha preso i connotati stupendi di quello padre-figlio e viceversa.

Purtroppo la malattia ha rallentato ma non ha impedito che questo nostro rapporto continuasse idealmente, grazie anche a “papà Giuseppe”, al quale sono legato da un’altrettanta affettuosissima amicizia.

“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio”: quante cose ci ha consegnato il Calvario di Don Salvatore.

Penso al suo ardente desiderio di diventare prete: ho vissuto con Don Rino le ore concitate della provvidenziale ed ispirata decisione dell’Arcivescovo, Mons. Pichierri.

Penso alla sua profonda emozione per la stupenda telefonata ricevuta da Papa Francesco e per la richiesta della prima benedizione.

E penso al mio rientro anticipato, ero ad Assisi per un convegno, per partecipare liturgicamente alla Ordinazione di Don Salvatore (ho avuto, infatti, la grazia di essere uno dei due diaconi assistenti della solenne celebrazione eucaristica nella “Cattedrale domestica”).

Ed ancora penso, con rammarico, alla mia lontananza forzata nei giorni in cui la nostra “famiglia parrocchiale”, e non da sola, ha potuto piangere e pregare per Don Salvatore; anche se questo non mi ha impedito di sentirmi affettuosamente vicino a tutti, a papà Giuseppe, a mamma Filomena, ad Adele.

Dice Michel Quoist in un suo stupendo libro: “la morte di un amico, come la caduta di un pino gigante, lascia scoperto un pezzo di cielo”.

Ed è da questo pezzo di cielo scoperto che, io penso, Don Salvatore non ha mai smesso di continuare a guardarci, a benedirci, a sostenerci nel nostro difficile e sofferto cammino quotidiano.

Caro Don Salvatore, io ne sono certo, non sei lontano da noi; sei solo “passato all’altra riva”, nel luogo in cui i dolori non ci sono più e dove stai raccogliendo il premio della tua tenacia e della tua fede.

Io ti immagino nelle braccia amorose della nostra Mamma celeste, “tranquillo e sereno, come bimbo svezzato in braccio a sua Madre”, ed in compagnia di quel Gesù che hai voluto imitare sino alla fine, senza dubbi, senza tentennamenti, caricandoti delle Sue sofferenze.

Ricordi? C’è una canto in cui si dice che “quando busserò alla tua porta, avrò ceste di dolore”, ma c’è anche un Salmo che recita così: “hai liberato dal peso la sua spalla, le sue mani hanno deposto la cesta”.

“Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio”; ma è proprio nel pomeriggio del 30 giugno di quell’anno, dopo le “tre” e grazie a mia moglie che provvidenzialmente mi raggiunse telefonicamente, che potei ascoltare lo struggente suono festoso delle campane della nostra Parrocchia che testimoniavano la liturgia pasquale che si stava celebrando per te: il viatico gioioso della tua partenza da noi e il segnale luminoso del tuo arrivo fra gli angeli; e, finalmente, mi sciolsi in un pianto dirotto liberatorio che mi riconciliò con la misericordia di Nostro Signore il quale ci ha promesso che dopo ogni “venerdì santo” il sole radioso della Pasqua tornerà sempre a splendere.

Per noi questa prova è stata, è e sarà dura, e tu lo sai: per questo continua a pregare per tutti, soprattutto per la tua famiglia, così provata.

Infine, ti rivolgo sommessamente una mia preghiera, del tutto intima e personale: non cessare di ripetermi anche da lassù quelle stupende e pur brevissime parole che mi sussurrasti l’ultima volta che ci siamo visti: “ti voglio bene”.

Io te ne vorrò per sempre, con amore di padre.

Tuo don Abramo, diacono

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