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Quando una persona si ritiene consapevole?

Che cosa vuol dire veramente la parola “consapevolezza”?

Può una persona assumere “consapevolezza” di una qualsiasi cosa solo mediante la data di un evento posto in calendario?

Quando mi ha contatto Ruggiero Dimonte per chiedermi un mio personale Pensiero sulla “GIORNATA DELLA CONSAPEVOLEZZA DELL’AUTISMO” ho avuto come un blocco emotivo. Mi sono fatto una risata amara, non perché mi avesse chiesto un parere o pensiero, ma perché questo è un argomento che va ben oltre il termine medico “AUTISMO”, perché credo che dare una data simbolica ad una “disabilità” per Noi genitori che viviamo questa realtà, per i fratelli e le sorelle che hanno in famiglia una Persona con una qualsiasi disabilità, diventa davvero molto riduttivo e per certi aspetti anche un po’ ridicolo. Si ha consapevolezza di una qualsiasi cosa solamente quando la si vive in prima persona. Per quanto tu possa spiegare e descrivere a parole ad un abitante del Polo Nord quanto sia bello fare il bagno al mare in estate lui non potrà mai avere realmente consapevolezza di cosa si prova.

Queste giornate dedicate, queste manifestazioni fatte di palloncini che volano, belle parole lette ai microfoni, propositi di integrazione sociale, promesse sventolate come bandiere, ad un certo punto servono a ben poca cosa.

Non si può avere consapevolezza di una disabilità a giorni stabiliti, tutto oggi è circoscritto ad una data, si è più buoni e generosi a Natale, ci si innamora a San Valentino, si va in vacanza a Ferragosto, si vanno a trovare i defunti a Novembre, oggi tutto è calendarizzato, mentre la realtà è davvero altra. Ogni giorno ci si alza per lavorare, per far colazione, pranzare, lavarsi, ogni giorno si fanno cose per se stessi e per gli altri. Ogni giorno si sistema il letto dove si è dormito, ogni giorno facciamo le stesse cose perché è un giorno Nuovo che va vissuto. Non vuol dire che è una routine, perché anche il ciclo solare a questo punto è una routine, ma ogni giorno abbiamo consapevolezza di fare tutto per bene e per noi stessi e per chi ci circonda.

Ecco, quello che voglio dire è che ogni giorno Noi che viviamo una realtà fatta di terapie, incontri, preoccupazioni, denaro, fallimenti, successi, incomprensioni, litigi, silenzi, pianti, dubbi, certezze, ogni giorno viviamo come se fossimo a bordo di una interminabile Montagna Russa, siamo consapevoli che non ci possiamo fermare mai, non possiamo mai abbassare la guardia e soprattutto non possiamo pretendere che altri facciano il nostro “lavoro”, non possiamo pretendere che la Scuola, la Società, la Comunità, ci comprendano e ci aiutino davvero fino in fondo, a NOI servirebbe invece sapere che questi Nostri figli possano essere compresi, aiutati e soprattutto “accettati e accolti”.

La vera consapevolezza è che esistono tante disabilità che molto spesso non vengono riconosciute, famiglie che non hanno alcun tipo di supporto e sostegno solo perché la loro diagnosi non è elencata in un database di patologie. Disabilità sconosciute e rare che non verranno mai celebrate in una data di calendario, Laureati che pensano di utilizzare l’escamotage del “Sostegno” solo per entrare a lavorare in una scuola.

Concludo dicendo che la consapevolezza non si può inculcare: non è un dato o una nozione che può essere assimilata a livello cognitivo. Questa parola denota un fenomeno estremamente intimo, e di importanza cardinale. Non è un superficiale essere informati, né un semplice sapere, ma è un qualcosa che solo toccandolo con mano ne percepisci la sua grandezza. La vera consapevolezza sta solo nell’indossare le scarpe e i panni degli altri.

Pasquale Dambra

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