Contro l’eutanasia, la Chiesa Cattolica è per la cultura della cura e della prossimità! Invitiamo i lettori a riflettere sul dibattito politico attuale e sulle prospettive parlamentari e referendarie in materia di eutanasia e suicidio assistito. Siamo di fronte, purtroppo, negli ultimi tempi a una tragica involuzione della dignità dell’uomo. Eutanasia e suicidio assistito rientrano in quel ventaglio di situazioni che papa Francesco indica come “cultura dello scarto”. La mentalità occidentale sta perdendo il rispetto fondamentale per la vita in particolare di quella più fragile. Se il referendum abrogativo, andasse in porto, il risultato sarebbe la depenalizzazione dell’omicidio del consenziente.

Se venisse fuori una legge ben fatta, tuttavia, non vi sarebbe alcuna contraddizione. La materia è comunque molto articolata e vede connessi diversi argomenti. Un conto è accompagnare il malato terminale con dignità, un altro è alleviarne il dolore. Altro argomento ancora è quello dell’eutanasia. Sono concetti contigui ma, nella sostanza, profondamente diversi. Premesso che va sempre escluso l’accanimento terapeutico, occorre una distinzione attenta e puntuale tra terapia e cura. Mentre la terapia è un intervento mirato a superare condizioni patologiche, la cura è qualcosa di più generale, coinvolge la persona non solo nel suo aspetto fisico, patologico e fisiologico, accompagnandola fino alla fine naturale della vita, ma anche in quello relazionale, sociale, spirituale e morale.

Altro ambito è quello delle cure palliative, che implicano una gradazione di interventi per l’alleviamento del dolore, fino a forme in cui, quando il quadro clinico è divenuto refrattario a tutte le cure, si può optare per la sedazione profonda. Tutti questi sono argomenti “di confine”, ma fintanto che rimangono sul versante della cura, cioè dell’accompagnamento della persona nel rispetto dei tempi della vita, si collocano in un ambito non solo legittimo ma addirittura positivo. È necessario sia promuovere sia una cultura della vita, sia una catechesi adeguata, affinché il dolore, la malattia e il fine-vita siano collocati in una prospettiva di comprensione cristiana. È importante che questo percorso di accompagnamento sia fatto per tempo, sia per il malato, che per le persone, familiari e personale sanitario, che gli sono accanto.

A nostro avviso, il fine-vita dovrebbe essere argomento di una legislazione attenta e puntuale, di modo che non si lascino vuoti in grado di favorire abusi. A livello parlamentare, ci auguriamo, dunque che prevalgano posizioni capaci di garantire ogni forma di accompagnamento “buono” alla morte, in situazioni tragiche di malattie terminali e di patologie gravemente invalidanti.

Francesca Leone
professoressaleone@gmail.com

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